IL CHI E LA FORZA:
Il tema dell’articolo si prefigge di riscontrare correlazioni fra le Filosofie Orientali e l’universo di Star Wars. Tutti gli appassionati, più o meno giovani, di questa Saga che ormai da molti anni è discussa e analizzata fin nei minimi dettagli e non di rado è motivo di disaccordo, sono consapevoli che la fonte d’ispirazione pone le proprie origini nella spiritualità dell’estremo Oriente.
La tematica, così affascinante, non poteva mancare di suscitare il mio interesse, non solo come fan di Star Wars, ma anche nella veste di studiosa delle Filosofie Orientali. Tratto da una relazione proposta nel corso di una Convention risalente a ormai parecchi anni fa, l’articolo è accentrato sui film della prima trilogia, sulle riflessioni e considerazioni, nonché sulle ripercussioni avute nel quotidiano. Non si può ignorare, infatti, che con l’avvento di Star Wars la vita di tutti noi ha subito un cambiamento.
Il concetto espresso da uno dei massimi esponenti della Filosofia Zen, il Maestro Daisetz Teitaro Suzuki, racchiude l’essenza del suo insegnamento:
“L’uomo è un essere pensante, ma le sue più grandi opere vengono compiute quando non calcola e non pensa. Quando ciò è raggiunto, l’uomo pensa, eppure non pensa. Pensa come la pioggia che scende dal cielo, come le onde che si rincorrono sul mare, come le stelle che illuminano il cielo notturno, come le foglie verdi che germogliano alla brezza primaverile. Infatti, è lui stesso la pioggia, il mare, le stelle, le gemme. Quando l’uomo ha raggiunto questo grado di sviluppo spirituale è un maestro Zen della vita. Non ha bisogno, come il pittore, di tele, pennelli e colori. Non ha bisogno, come l’arciere, di arco, frecce e bersaglio. Non ha bisogno, come lo spadaccino, di spada né di alcun altro strumento. Ha le sue membra, il corpo, la testa e così via. La sua esistenza nello Zen si esprime tramite tutti questi “strumenti”, che sono importanti come le forme della sua manifestazione. Le sue mani e i suoi piedi sono pennelli, e il mondo intero è la tela su cui dipingere la sua vita per tutto il tempo che gli sarà concesso di viverla. Tale quadro si chiama “Storia”.
I bambini, è risaputo, sono curiosi e quando sono colpiti e affascinati da una storia, che si tratti di un’opera di narrativa o cinematografica, vogliono sapere se è vera, se fa parte del mondo reale o se appartiene al mondo dell’immaginario nel quale essi si sentono a loro agio. Non di rado genitori e familiari, assai più radicati nella realtà, si affrettano a togliere loro ogni illusione. Altri, invece, ammettono che non tutto è spiegabile con il raziocinio e forse, loro stessi, coltivano in segreto il desiderio che la vicenda narrata, per quanto fantastica, sia davvero possibile, che esistano alternative a una realtà spesso troppo cruda, poiché dentro di loro il “sense of wonder” non si è ancora spento. A giudicare dalla immensa popolarità raggiunta dai film della Saga, molti vorrebbero che l’universo di Star Wars fosse reale. Tuttavia, e lo dico con rammarico, non avvisteremo mai il Millenium Falcon nella nostra atmosfera, né Luke Skywalker ci invierà una richiesta di soccorso. Tantomeno vedremo apparire Darth Vader pronto a infliggerci un castigo per non aver studiato o aver rifatto male i letti. Scherzi a parte, occorre dire che i numerosi seguaci del Taoismo, dello Yoga e del Buddismo Zen riconoscono che nell’universo esiste davvero una Forza analoga a quella descritta nei film. Un potere che risiede in ciascuno di noi e attende soltanto di essere risvegliata.
Chiamata “Chi” in Cina (Ki in Giappone) costituisce un elemento fondamentale, la base stessa delle Arti Marziali, e quando si è in grado di esercitarla provoca gli stessi effetti della Forza che abbiamo imparato a conoscere attraverso la Saga. Spada laser, katana, mani nude o altro, il principio è identico.
Nella Saga di Star Wars esiste una signoria o padronanza della Forza che Obi Wan Kenobi e Yoda, maestri Jedi, descrivono come un’energia che fluisce dagli esseri viventi, circonda tutto e unisce l’uno all’altro. Sul pianeta Dagobah, Yoda s’impegna ad insegnare al giovane apprendista Luke il potere della Forza che non si ottiene attraverso la conoscenza, ma con la non-conoscenza di tutto ciò che Luke pensa di sapere sull’universo. Non il pensiero, dunque, ma il sentimento e l’intuizione sono le vie d’accesso alla Forza, perciò Luke deve modificare la sua mente razionale: simbolicamente si copre gli occhi quando Kenobi inizia l’addestramento con la spada-laser; e disattiva il computer di bordo durante la battaglia per distruggere la Death Star. “Fidati del tuo istinto!” lo avvisa la voce incorporea di Kenobi.
Un altro importante principio per possedere e controllare la Forza è il rilassamento, la calma interiore. Tensione e paura, reazioni naturali alle situazioni di crisi, ne bloccano il flusso e quindi devono essere bandite. Luke impara sempre più a comportarsi in questo modo; nella tana di ghiaccio del mostro wampa, appeso a testa in giù, lo si vede deliberatamente lasciarsi andare e rilassarsi, prima d’impadronirsi della spada-laser. L’impazienza e l’attitudine di vivere proiettati verso il futuro rappresentano altri ostacoli. La Forza è disponibile soltanto adesso, nel presente, a colui che si focalizza sul presente. Yoda insiste su questo punto quando sembra voler rifiutare Luke come apprendista Jedi.
“Per tutta sua vita ha guardato altrove, al futuro. La sua mente non è mai stata concentrata su ciò che lui era, su ciò che stava facendo!” Il rilassamento e la subordinazione ad inconsapevoli fonti di sentimenti devono essere bilanciati dalla concentrazione e dal controllo. La distrazione blocca il flusso della Forza, come Luke scopre quando si regge in equilibrio su una mano e le rocce levitano: lui permette che gli improvvisi e ansiosi segnali di Artoo lo distraggano, così le rocce cadono e lui perde l’equilibrio. Come tutte le altre cose la Forza non è puramente l’energia dell’amore che produce miracoli, non è neppure un potere positivo che può essere trasformato in un male con un semplice sforzo di volontà: la Forza è ambivalente; possiede un lato buono e uno cattivo. Kenobi e Yoda precisano a Luke che a un certo punto dell’addestramento Jedi, quando la Forza è sentita ed usata ma non ancora dominata, l’adepto è lusingato dal Lato Oscuro. L’impazienza conduce a cercare delle scorciatoie. La rabbia, anche giusta, conduce all’odio e perciò al Lato Oscuro. Vader brama il potere, ambisce a dominare la Galassia, ed è questo desiderio una delle ragioni della sua caduta. Proprio a causa del suo servirsi del Lato Oscuro Darth Vader è limitato dove il vero Jedi non è: la sua immaginazione è paralizzata dalla sua attitudine mentale e il suo giudizio è distorto dalle sue passioni. Si fa un’opinione errata di Lando e ritiene di corromperlo, senza considerare che Lando possiede una coscienza che, come infatti accade, può risvegliarsi.
Inoltre, con Luke conduce il suo gioco troppo avanti. Ritenendo che Luke sia uguale a lui, lo blandisce, lo tenta, cerca di sedurlo con la prospettiva di dividere assieme a lui il governo della Galassia. Benché ferito e intrappolato su una piattaforma, Luke rifiuta e sceglie di lasciarsi cadere. Sceglie l’estremo sacrificio piuttosto che consegnarsi al Lato Oscuro. Darth Vader è sconfitto dalle sue stesse follie, arso e consumato dalla propria malvagità. Un vero Jedi non avrebbe mai commesso tali irreparabili errori.
Tuttavia, affrontando il tema del Lato Oscuro, è necessario ricordare un personaggio che si affianca a Vader e ne è il complemento essenziale: Palpatine. Lui è l’artefice della trasformazione, del cambiamento mentale di Anakin Skywalker. Palpatine è un subdolo e astuto manipolatore, oltre ad essere Maestro del Lato Oscuro, e tesse con la pazienza di un ragno la tela in cui il giovane Anakin, ingenuo e fiducioso, finisce intrappolato. Palpatine è scaltro, però i suoi tentativi di sedurre e corrompere Luke falliscono. Presuntuoso e superbo, l’imperatore crede di imprigionare Luke ponendolo di fronte alla sconfitta dell’Alleanza Ribelle e quindi dei suoi ideali. Vuole dimostrargli di essere invincibile, che il Lato Oscuro è invincibile. Tenta d’intrappolarlo, circuirlo, di fargli credere di essere predestinato a seguire le orme di suo padre, di persuaderlo che niente può opporsi ai suoi piani e che pertanto ogni resistenza è vana. Nel frattempo Luke lo osserva, lo studia, e alla fine intuisce che l’imperatore ha paura: teme lui e la Forza che scorre in lui, che la sicurezza ostentata è in realtà minata da un tarlo che potrebbe capovolgere le sorti in suo favore. Per Luke, questo è un momento molto pericoloso perché lo rende consapevole del suo potere e tale consapevolezza potrebbe condurlo al Lato Oscuro. Tuttavia Luke è forte e non permette all’esaltante sensazione che lo pervade di prendere il sopravvento. Supera l’istante e contempla con sereno distacco il vecchio cadente che ha di fronte.
Anche questa volta è pronto al sacrificio.
L’imperatore, però, non demorde e tenta con ogni mezzo di portarlo all’esasperazione, di intaccare la sua calma e la pacata accettazione del destino. Lo istiga a ucciderlo, riaccende la collera che avverte latente dentro di lui, e pian piano la sicurezza di Luke vacilla. La spada-laser è a portata di mano. L’impulso di afferrarla è forte. Palpatine assapora quel momento che potrebbe condurlo alla vittoria ed è pronto a correre qualsiasi rischio pur di ottenere che Luke passi dalla sua parte.
Il conflitto avviene sotto lo sguardo di Vader, che in quelle circostanze fa da spettatore. Ancora non ha la certezza che Luke cederà alle pressioni e attende con una insolita passività lo svolgersi degli eventi.
Luke, dal canto suo, accetta la sfida. Sa che non potrà evitare di affrontare suo padre di nuovo e che, questa volta, lo dovrà sconfiggere. La spada vola nella sua mano e lui la brandisce contro l’imperatore, sicuro che suo padre interverrà e ciò provocherà il duello che più d’ogni altro assurge a simbolo, rispecchiando l’eterno conflitto fra Bene e Male, Luce e Tenebra. Luke non si scontra soltanto col padre, ma anche e soprattutto con se stesso, con la parte di sé che è oscurità e che deve imparare a sconfiggere, ma anche accettare in quanto parte integrante della sua personalità. Solo accettando integralmente il proprio Lato Oscuro sarà un vero Jedi.
Il duello è la prova suprema dal cui esito dipenderà tutto.
Luke prende atto dell’ineluttabilità del confronto, così come, nel momento più drammatico, prende atto del pericolo e cui si esporrebbe uccidendolo. Pertanto compie la scelta che solo un vero Jedi può compiere.
“La Forza è ciò che dà a un Jedi la possanza”, dice Obi Wan a Luke quando cerca di spiegargli la natura di qualcosa d’intangibile e invisibile. Tuttavia non è certo che la Forza abbia origine dall’antico concetto cinese del Chi.
Chi, infatti, è stato tradotto con Forza, ma esistono traduzioni alternative quali: energia vitale, spirito, respiro, parallelamente al concetto Hindu del “prana”, molto importante nella pratica dello Yoga. Il Chi non è il Tao, che esprime la totalità dell’universo nel suo flusso, il modo in cui tutte le cose esistono. Il Chi è piuttosto un’energia che emana da tutte le cose e fluisce attraverso il tutto (il termine viene usato anche nel Confucianesimo, dove il suo significato è molto vicino a “struttura” – “Logos”.) Gli iniziati alla dottrina taoista cercano di porsi in armonia con l’universo tramite discipiline spirituali in cui essi rispondono al flusso del Chi. Una di questa discipline è il “T’ai Chi Ch’uan”, una serie di movimento lenti e simili alla danza che si prefiggono di stimolare l’energia vitale del corpo. Un’altra disciplina include le Arti Marziali, che secondo la tradizione sarebbero nate nel monastero di Shaolin. In origine le arti marziali non erano un mezzo di autodifesa, ma un sentiero spirituale di ricerca e perfezionamento. Nella loro espressione migliore sono ancora oggi più un viaggio mistico che uno sport. Fra le Arti Marziali, quella che si focalizza esplicitamente sul Chi-Ki e sul controllo del suo flusso è l’Aikido, che è una della più recenti, benché i suoi principi basilari siano antichi.
Nessun’arma viene usata; è un “modo di mani vuote”.
Aikido significa “La Via dell’armonia con l’energia universale” e “la Via dell’unità con la forza”. L’obiettivo primario dell’Aikido non è di sviluppare abilità di combattimento, ma di vanificare ogni ostacolo o impedimento umano di lasciar fluire liberamente il Ki. Il Ki è qualcosa che tutti possiedono e usano, in una certa misura. Si pone una notevole enfasi per localizzare il punto preciso in cui il Chi-Ki verrebbe a formarsi. Questo punto è “l’hara”, visto come il centro del circolo e punto di gravità, il nucleo attraverso cui l’essere umano è legato alla terra, alla natura, al cosmo intero. Si può ritenere che il Ki passi nel nostro corpo attraverso questo punto. Dall’hara il Ki viene proiettato all’esterno, principalmente attraverso gli arti. “mani vuote” non significa soltanto mancanza di armi, ma si riferisce anche alla chiarezza, alla libertà dalla tensione e restrizione, così che il Ki possa fluire liberamente.
Molti dei principi e delle massime proposti come guida per gli studenti di arti marziali riscontrano più di un parallelo nell’addestramento di Luke da parte di Ben e Yoda. Per iniziare si richiede un completo impegno da parte dell’allievo praticante, soprattutto in quelle scuole che pongono l’accento sulla trasformazione interiore più che sulle tecniche.
“Diventare un Jedi richiede l’impegno più profondo, la mente più seria.” Dice Yoda.
Questo profondo impegno indica l’intensa concentrazione richiesta. Se la propria mente vaga e distratta, anche per un solo momento, se ne verrà fuori sconfitti. Una completa rinuncia di se stessi e l’identificazione con l’universo dà la possibilità al praticante di arti marziali di bandire la paura. “Se ho già perso la mia vita, non devo più temere di perderla.” La paura dev’essere superata, un’altra forza sostitituisce la bruta forza fisica e mentale. La spada a due mani dei samurai e dei Jedi simboleggia e riflette la profonda rinuncia dell’Io. Non c’è una mano libera per tenere lo scudo, non c’è uno scudo da tenere. L’Io non è protetto. Questa morte spirituale è il significato primario di una celebre massima Dell’Hagakure (Nascosto dalle foglie), un manuale samurai del 17 secolo: “la Via del Samurai è la morte”. Nella tradizione giapponese del combattimento con la spada, si pone molta attenzione alla spada, che non è soltanto un’arma, ma un oggetto con proprietà magiche e il simbolo delle verità spirituali. La creazione della spada di un samurai richiede molta concentrazione, preghiera e persino calcoli astrologici. Una di queste costruita da un maestro, veniva tramandata di padre in figlio in modo cerimonioso, com’è stato per Luke Skywalker. La spada blu fiammante di un Jedi e la lama rossa di Darth Vader, incrociate nel primo film “Una nuova speranza” e di nuovo nel duello su tre livelli in “L’Impero colpisce ancora” sono immagini molto vicine alla Spada della Vita e alla Spada della Morte che appartengono alla tradizione giapponese. La prima, simbolo di profonda lealtà e sacrificio, deve controllare e dominare la seconda, che incarna la demoniaca distruzione. La Spada della Vita indica l’annichilimento di qualsiasi cosa impedisca giustizia e umanità. Oltre a queste due spade c’è l’Unica Spada: la Vairecana Buddha, la fonte da cui scaturiscono tutte le dualità, tutti i mondi. Essa è lo spirito invisibile che anima il corpo e la mente dell’essere umano, la mente e il corpo del mondo. Essa è ovunque, ma non si può localizzare in un luogo preciso, proprio come il Ki, lo spirito del cielo e della terra, non può essere localizzato. Esiste, è presente, potente, ma invisibile. Oltre a questa particolare spada, altri strumenti che fanno parte dell’equipaggiamento dei samurai si riscontrano in Star Wars. L’elmo di Dath Vader è ispirato a quello dei samurai del 16 secolo del periodo Ashicaga e Momogama, e altri ancora sono presenti, sia pure in forma diversa, durante le fasi dell’addestramento di Luke. La reazione istintiva e rapida è la chiave del maneggio della spada da parte del samurai. Il guerriero non elabora per via logica le proprie mosse: il suo corpo agisce senza far ricorso alla programmazione razionale; ciò gli conferisce un inestimabile vantaggio su un avversario che, al contrario, debba riflettere sulle proprie azioni e quindi tradurre le conclusioni razionali in movimenti conseguenti del braccio e della spada. Il samurai non ha mai l’impressione che il suo braccio regga una spada; braccio, corpo e mente divengono tutt’uno. Quando la spada viene maneggiata da un guerriero il cui sviluppo spirituale è tale che egli la impugna come se non la reggesse affatto, essa si identifica con l’uomo, acquista anima, si muove con tutte le sottiglezze che sono radicate in lui: lo spadaccino. L’uomo, svuotato di tutti i pensieri, di tutte le emozioni promosse dalla paura, l’insicurezza, il desiderio di vittoria, non è consapevole di usare la spada. Uomo e spada si trasformano in strumenti impugnati, per così dire, dalla mano dell’inconscio, manovrati dal flusso del Ki. In questo modo il guerriero è libero dalle debolezze della mente, dalla paura, dall’ambizione sfrenata, sentimenti che in un combattimento per la vita e per la morte si rivelano disastrosi. Il guerriero è totalmente concentrato sulle distrazioni dell’avversario e non appena si presenta l’occasione di colpire non ha bisogno di riflettere: la sua spada e il suo corpo reagiscono in modo automatico. Per raggiungere questo livello di armonia del corpo e della mente occorrono anni e anni di addestramento durissimo. Solo quando la forza fisica è esaurita e il corpo rilassato, può essere attivato il secondo livello di energia.
Le somiglianze fra la Forza e il Chi/Ki orientale sono chiare, ma il concetto orientale non è così logico come per Lucas; è stato tenuto in sospeso per così lungo tempo, da così tanta gente, che sono avvenute comprensibili variazioni.
Il Ki può essere una tale realtà ultima per gli orientali, ma si deve riconoscere con onestà che la Forza in Star Wars non è tale, è chiaramente derivata, è una realtà secondaria. Potrebbe essere un’eredità genetica, dato che viene trasmessa fra consanguinei, e magari provenire da chissà quale misteriosa fonte cosmica che inspiegabili eventi distribuiscono a soggetti che sono ritenuti idonei a detenere questa facoltà. Soggetti che non sempre si rivelano all’altezza del dono ricevuto.
Il Lato Oscuro è sempre in agguato ed è innegabile che eserciti un notevole fascino su menti particolarmente vulnerabili. La sua suggestione è così potente da attrarre nella propria sfera d’influenza anche chi è armato di buone intenzioni e crede di agire per un bene superiore mentre invece, scivolone dopo scivolone, si ritrova in un vicolo cieco, avvinto da catene che lui stesso ha creato. Raggiunto il “punto di non ritorno”, non è più lui a dominare la Forza Oscura, bensì il contrario, e alla fine ne sarà divorato.
Una delle Arti Marziali più affascinanti e misteriose è il “Ninjutsu”, forse fra le più antiche e di origini incerte. I Ninja sono passati alla storia come abili spie e assassini per la loro non comune destrezza a dissimularsi e ad agire in modo silenzioso, per l’arsenale di armi letali, veleni e congegni esplosivi che li potevano rendere invisibili, o permettere loro di fuggire. Esistono e convivono, nel “Ninjutsu”, un aspetto mistico e un aspetto oscuro conosciuto come “Kuji-Kiri”; la “Magia Nera” dei Ninja. I Ninja sono i guerrieri leggendari per antonomasia, avvolti da un alone di mistero che ancora oggi affascina e suggestiona. Forse più simili ai Jedi che non i Samurai.
Essere un Ninja significa essere un guerriero mistico. Il senso di tale definizione è racchiuso nella frase: “Per essere un Ninja occorre essere forte, bisogna conoscere, bisogna osare e bisogna tacere.”
L’attributo principale di un guerriero è la forza, ed esistono due tipi di forza: esteriore e interiore. La prima è apparente e svanisce con gli anni; la seconda è sottile, invisibile ed eterna. Prerogativa del Ninja è di possederle entrambe. L’abilità nel combattimento è unita a un elevato livello di acuità extrasensoriale che garantisce un vantaggio sia psicologico che fisico in qualsiasi combattimento. Benché nel corso dei secoli la loro immagine abbia assunto connotazioni negative e la letteratura di genere li presenti nella maggioranza dei casi come crudeli assassini, la verità è che tutti i Ninja sono uomini di pace e tali debbono sempre rimanere, anche se ciò comporta il rischio di perdere molti degli speciali poteri che hanno sviluppato.
Dunque, in ultima analisi, Jedi, Ninja e Samurai sanno combattere, possiedono poteri prodigiosi, ma sono persone pacifiche perché, come afferma Yoda: “Guerra non fa nessuno grande”.