Libri e dintorni (seconda parte)

Templari

La giornata è grigia e fredda. Praticamente perfetta per restare a casa e scrivere ma, prima di iniziare a lavorare al nuovo romanzo, voglio dedicare un po’ di tempo ad aggiornare il blog del mio sito.

Contrariamente al solito non è passato troppo tempo dall’ultima volta, quando ho parlato dei romanzi che ho riscoperto con grande piacere. Oggi, invece, vorrei parlare anche dei miei libri, il cui elenco finalmente completo è stato inserito nel sito. Sono tanti e raccontano la storia della mia carriera a partire dagli esordi. Mi hanno accompagnata nel cammino della mia vita e, in certo qual modo, ne rappresentano varie fasi. Segnano momenti importanti, felici e anche tristi. Momenti d’intensa attività creativa in cui lavoravo fino a tarda sera, spesso fino a tarda notte, spronata dall’entusiasmo e da una capacità di resistere al dispendio di energie che ciò comportava come adesso non riuscirei più a fare. Come non mi riesce più di fare malgrado abbia conservato l’entusiasmo di allora, perché non sarei capace di vivere senza raccontare storie. Ho soltanto rallentato il ritmo.

L’anno scorso ho svelato gli altri due pseudonimi, ma ho il sentore che non saranno gli ultimi che dovrò adottare. In un cantuccio del mio cuore, però, serbo la speranza di poter presentare un libro col mio nome. Magari in un futuro non troppo lontano. E, già che sono in vena di rivelazioni, vi confido che ho deciso di smettere, almeno per un po’, di scrivere Romance. Non mi sono disamorata di questo genere in quanto tale, ma degli schemi troppo rigidi che a volte impone, perciò ho bisogno di prendermi una pausa di riflessione. Ancora non so quanto sarà lunga, ma certo abbastanza da consentirmi di dedicare spazio ad altre storie. Le due o tre che ho cominciato e che aspettano di essere riprese dal punto in cui sono state interrotte. Non è mai facile riprendere un racconto dopo averlo messo da parte. Occorre ripartire dall’inizio per rientrare nell’atmosfera e calarsi di nuovo in quella dimensione, riallacciare i rapporti con i personaggi… Insomma, abbandonare anche solo per qualche mese un romanzo non è saggio. Lo dico per esperienza.

Infatti mi sono ripromessa di finire il romanzo che ho cominciato a scrivere da un paio di mesi. Non bisogna essere dispersivi se si vuole raggiungere l’obiettivo prefissato.

Mi sembra d’aver parlato anche troppo di me e credo sia arrivato il momento di cambiare argomento. Ce n’è uno che mi sta particolarmente a cuore perché mi appassiona da tanti anni ed è spesso materia di discussione in programmi televisivi di tipo culturale e, per dirlo con una frase molto abusata, ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro.

Mi riferisco ai templari, cioè all’ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Gerusalemme, su cui si continuano a dire e scrivere montagne di sciocchezze, menzogne spacciate per verità storiche. Mi rendo conto che la fine ingloriosa dei templari a causa delle accuse di eresia, e non solo, abbia alimentato la fantasia della gente e dato il via alle congetture più inverosimili, ma che cosiddetti studiosi non si prendano il disturbo di verificare ciò che affermano, considerato che esistono fonti più che attendibili, è segno di superficialità e mancanza di rispetto nei confronti di coloro che li ascoltano o ne leggono i libri, i quali si fanno un’idea assolutamente sbagliata di ciò che erano e rappresentavano i templari.

Non voglio discutere delle colpe, vere o presunte, di cui l’ordine del Tempio si sarebbe macchiato. Erano uomini e, in quanto tali, soggetti a commettere sbagli. Neanche mi prefiggo di tenere una lezione sulla storia delle crociate che li ha visti protagonisti di primissimo piano, vuoi per brillanti successi in imprese militari, vuoi per brucianti sconfitte, o ancora per essere scesi a compromessi che hanno contribuito a creare intorno a essi una luce fosca, quando non addirittura ambigua.

Desidero semplicemente chiarire almeno un paio degli equivoci più frequenti in cui, persone che fanno sfoggio di conoscenza, cadono e tradiscono le loro lacunose informazioni al riguardo, non soltanto in merito ai templari, ma anche sulla storia dei Regni Latini d’Oltremare, che iniziò nel 1099 con la conquista di Gerusalemme, da parte di Goffredo di Buglione, e si concluse nella tarda primavera del 1291 con la caduta di San Giovanni d’Acri a opera del sultano Al-Ashraf, che riuscì a impadronirsi della città portuale nonostante la coraggiosa e strenua difesa degli ordini militari: templari, ospitalieri e teutonici, che non esitarono a sacrificarsi per mettere in salvo la popolazione.

Però bisogna fare qualche passo indietro, poiché il declino dei regni d’Oltremare iniziò con l’ascesa al potere di Salah-ad-Din, più conosciuto come Saladino, intorno al 1181. Il sogno di questo condottiero, sultano di Damasco, era di riconquistare tutti i territori sotto il dominio cristiano e, fin dagli albori del proprio regno, si dedicò con grande determinazione alla realizzazione del suo ambizioso progetto. Per attuarlo dovette innanzi tutto porre fine alle divisioni interne e creare un fronte compatto capace di affrontare una guerra sicuramente lunga e dispendiosa.

In un’alternanza di battaglie, vittorie e sconfitte, tregue e trattati di pace violati, con un lento e inarrestabile indebolimento delle forze cristiane, minate da dissidi e giochi di potere, che culminò con la morte del giovane re di Gerusalemme Baldovino IV, stremato dalla lotta contro la lebbra che si era protratta per anni, e il conseguente vuoto di potere che venne a crearsi, Saladino comprese che era il momento giusto per sferrare un’offensiva ad ampio raggio.

Dopo aver conquistato piazzeforti e città, Saladino si accinse ad attaccare Gerusalemme e assunse personalmente il comando dell’armata.

In seguito alla morte di Baldovino IV era stato designato a succedergli un bambino di nove anni che portava il suo stesso nome. L’erede era figlio della principessa Sibilla, sorella del re lebbroso, ma si ammalò e morì anche lui, lasciando di nuovo il trono vacante in una situazione di grave pericolo. La minaccia, tuttavia, non interruppe gli intrighi. Anzi, aprì la strada della successione al marito di Sibilla, un avventuriero ambizioso e senza scrupoli, che riuscì a farsi incoronare malgrado l’opposizione di numerosi baroni. Costui si chiamava Guido da Lusignano, vanaglorioso e pavido, sensibile alle lusinghe e del tutto incapace di fronteggiare le circostanze con l’energia che avrebbero richiesto.

Le conseguenze del comportamento poco avveduto di Guido furono disastrose.

Occorre dire che non fu soltanto colpa sua. I fattori che contribuirono alla disfatta subita dall’esercito cristiano ai Corni di Hattin il 4 luglio 1187 furono molteplici e gran parte della responsabilità deve essere distribuita anche su coloro che l’avevano mal consigliato. E, fra questi, c’era il Gran Maestro dei templari Gerardo di Ridfort, succeduto ad Arnoldo di Toroga senza alcun merito se non quello di essere un abile intrigante. Un pessimo soggetto, purtroppo, in un momento in cui ci sarebbe stato bisogno di grandi uomini. Ma l’epoca di Goffredo di Buglione era ormai finita e la Terra Santa pullulava di avventurieri che si preoccupavano più del proprio tornaconto che delle sorti del regno.

La sconfitta dell’esercito cristiano ad Hattin aprì la strada di Gerusalemme a Saladino, che si accampò davanti alle mura il 20 settembre. Quel giorno ebbe inizio l’assedio che si concluse con la resa della Città Santa un mese dopo, quando il sultano vi entrò da trionfatore. Gli si deve riconoscere il merito d’aver trattato con clemenza e generosità la popolazione, dimostrando di essere davvero un grande uomo, oltre che un grande condottiero.

La perdita di Gerusalemme precipitò nella costernazione l’Europa intera, che si sentì investita del compito di riconquistarla. Con la terza crociata, approdò in Oltremare Riccardo Cuor di Leone… Ma questa è un’altra storia.

E i templari?

L’ordine era ancora forte e potente, sia sotto l’aspetto militare che economico, ma fu considerato il maggior responsabile della caduta di Gerusalemme e la sua immagine cominciò a essere offuscata. Non era più invincibile e, forse, i suoi ideali non erano così puri. Già si vociferava di trattative segrete da parte delle alte gerarchie con la famigerata setta degli Assassini, di rituali misteriosi e giuramenti blasfemi. Nondimeno, fra bagliori sempre più tenui e ombre sempre più fitte, i templari continuarono a difendere i luoghi santi con indomito valore e a essere temuti dai nemici. D’altronde, un ordine che si fregiava di uno stendardo bianco e nero detto Baussant che ne simboleggiava il dualismo, cioè l’essere monaci e guerrieri, non poteva che intrinsecamente avere due valenze: luce e tenebra. (Baussant è una contrazione delle parole vau cent: valgo cento, e voleva significare che uno solo di loro valeva per cento nemici.)

Dunque, tornando al 1291, fu la battaglia di Acri l’ultima combattuta dai templari, non la battaglia di Hattin, come sostiene qualcuno, e tanto meno lo scontro avvenuto sulla sponda del fiume Giordano, come affermano altri, che fu solo un combattimento, per quanto cruento, che non ebbe alcuna influenza sul declino dell’ordine, il quale continuò a esistere fino all’ottobre 1307, anno in cui re Filippo il Bello di Francia ordinò l’arresto dei suoi membri. Lo scioglimento dell’ordine del Tempio avvenne nel 1312 a opera di papa Clemente V.

Vorrei concludere con la trascrizione di un brano tratto dal romanzo a cui sto lavorando. Le riflessioni riportate sono di Giacomo di Molay, ultimo Gran Maestro del Tempio, dopo l’arresto e le torture preliminari per costringerlo a confessare.

Stordito dal prolungato supplizio, il templare scivolò in uno stato di delirante dormiveglia affollato d’immagini e visioni, ricordi che chissà come riemergevano dai recessi della sua coscienza, echeggianti di nenie orientali e spade turbinanti, di polvere sollevata dagli zoccoli dei cavalli lanciati al galoppo, di nitriti e stendardi che schioccavano al vento.

Un tempo c’era stato un sogno chiamato Terra Santa. Un sogno vagheggiato, accarezzato, sospirato e infinitamente fragile. Un sogno che pur nel fragore delle armi e nel rombo tonante dei bastioni atterrati, nel furore della mischia e nel crepitare degli incendi, era stato di una bellezza celestiale, ultraterrena, risonante di canti soavi e angelici.

Aveva cavalcato sotto il sole ardente e il respiro caldo del deserto, ammantato dalla purezza dei suoi intenti e dal candore del mantello, rifulgente d’armi e d’orgoglio. Si era cibato dei dolci frutti offerti dalle oasi, aveva ammirato, nelle lunghe notti di veglia, il cielo immenso, risplendente di astri. Si era smarrito lungo piste polverose segnate dal passaggio delle carovane e degli anacoreti, dissetato alle fonti e riposato all’ombra degli ulivi.

E l’amore che aveva destato in lui quella terra intrisa di misticismo e magia albergava ancora nel suo animo ferito da troppe delusioni, fallimenti e inganni nella cui ragnatela era rimasto invischiato. Si cullava nel ricordo imperituro di una grandezza ormai perduta, di ideali traditi e calpestati, aggrappandosi come un naufrago che sta per annegare agli ultimi brandelli rimasti dell’onore.

Annegava in un mare di sofferenza al pensiero dell’abisso nel quale precipitava e da cui non sarebbe più riemerso. E le colpe, vere o presunte di cui lo si accusava, avrebbero trascinato tutto il Tempio all’inferno, cancellandone la gloria per sempre.

Sognava un cielo di lapislazzuli che non avrebbe mai più visto, il bagliore del mattino e l’incandescenza dei tramonti che tingeva di rosa le bianche mura delle città.

E, in lui, il sogno che era stato la Terra Santa non si era mai infranto sotto i colpi dei mangani e delle catapulte.

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