Alessandro il Grande

Alessandro il Grande

Gli scritti su Alessandro sono numerosi e di autori diversi.

Difficile scrivere qualcosa di nuovo, ma ho intenzione di provarci. State sintonizzati!

Ed eccomi qua, a raccontare qualcosa di non proprio inedito, ma forse poco conosciuto, su uno dei personaggi più celebri e affascinanti della Storia Antica: Alessandro il Macedone. Un re, un condottiero, un conquistatore ardito e lungimirante, assurto alla fama nel volgere di un paio di decenni e prematuramente scomparso. Un personaggio di cui, come detto sopra, si è molto scritto e che ha ispirato il cinema. Di Alessandro ci sono biografie, narrativa storica e anche romanzi che mescolano magistralmente storia e fantasia.

Alessandro è uno dei personaggi storici che amo e sul quale non mi stanco mai di fare ricerche, di leggere, di scoprire eventuali e più reconditi aspetti della sua complessa personalità, poiché un uomo di tale spessore doveva per forza essere complicato, dotato di un intelletto superiore alla media, geniale e forse un po’ bizzarro, magari persino misterioso. E sarà proprio questo lato recondito che cercherò di esplorare penetrando l’alone oscuro che lo circondava. Tutta la vita di Alessandro reca l’impronta di grandi uomini e donne fuori del comune, a partire da suo padre Filippo, re di Macedonia, sua madre Olympia, bellissima sacerdotessa, il filosofo Aristotele suo precettore, il generale Parmenion, di orgini spartane e conosciuto anche come il Leone di Macedonia, che prima era stato generale e stratega di Filippo poi, più anziano, anche di Alessandro. Come dimenticare i compagni del giovane principe Alessandro e poi suoi generali; Tolomeo, Perdicca, Antipatro, Cassandro, Filota e Nicanor, l’amico del cuore Efestione, Attalo, Clito il Nero, per citarne solo alcuni. Non si può dimenticare neppure il suo cavallo, il prodigioso Bucefalo che lo seguì in tutte le campagne fino alla morte. Sembra che il nero stallone gli fosse stato regalato dal padre dietro suggerimento di Parmenion. Un cavallo difficile che nessuno riusciva a cavalcare e che soltanto con il giovanissimo Alessandro si era dimostrato docile. Gli elementi per scavare negli aspetti più leggendari di Alessandro, soprannonimato il Principe Nero, ci sono quasi tutti, altri ne emergeranno man mano. Tuttavia, per il momento, voglio focalizzare l’attenzione sul personaggio storico: il conquistatore, il guerriero, l’uomo Alessandro.

Senofonte diceva di lui: “Egli regnò su queste nazioni, anche se non parlavano la sua lingua e, anzi, avevano ognuna una lingua diversa; nonostante ciò, egli diffuse un tale timore di sé, e in una regione così vasta, che nessuno osava resistergli; egli riusciva anche a suscitare in tutti un tale desiderio di compiacerlo che queste nazioni non avrebbero mai rinunciato a farsi guidare dal suo volere.”

In Alessandro coesistevano un grande amore per la gloria, la curiosità di scoprire ed esplorare luoghi nuovi fino a spingersi laddove mai nessuno era arrivato prima; infatti aveva intenzione di raggiungere il grande mare che, si diceva, si stendesse oltre i confini dell’India. La conquista, per lui, non era soltanto estendere i confini per rendere più vasto il proprio regno e appagare le proprie ambizioni, bensì era apprendimento, conoscenza di altre culture, usanze, tradizioni. Era da sempre affascinato dalla Persia, nella quale non vedeva soltanto un nemico da sconfiggere ma della quale ammirava l’antica civiltà, e bramava di visitare Babilonia, di cui si favoleggiava. I Persiani erano i tradizionali, storici nemici dei Greci, più volte sconfitti e respinti in epiche battaglie navali e terrestri. Spartani, Ateniesi, Tebani li avevano combattuti in un’alternanza di vittorie e sconfitte. Alessandro però era macedone e le guerre intraprese da suo padre Filippo avevano avuto soprattutto lo scopo di sottomettere piccoli regni tribali, all’inizio, poi i suoi progetti erano diventati più ambiziosi e si erano rivolti alla Grecia. Alla morte di Filippo, assassinato durante una cerimonia celebrativa da un giovane che voleva vendicare un affronto e che sicuramente fu l’esecutore materiale del delitto, ma che quasi certamente faceva parte di un complotto nel quale, forse, figurava anche Olimpya a cui l’ennesimo matrimonio di Filippo non era gradito, Alessandro ne raccoglie l’eredità e si lancia alla conquista delle principali città greche, prima di pianificare la sua più grandiosa spedizione militare che ha per mira l’invasione dell’Asia.

Una sfida che Dario, il Grande Re forte di un immenso esercito, è pronto a raccogliere ed è sicuro di vincere.

Ma Alessandro è favorito da Zeus, di cui si proclama figlio, e nella sanguinosa battaglia di Gaugamela Dario subisce un’umiliante sconfitta. Fuggito a bordo di un carro con pochi fedelissimi, muore in modo inglorioso, tradito e ucciso da uomini di cui si fidava. E nel frattempo Alessandro entra a Babilonia, accolto come un trionfatore.

La sete di conquista di Alessandro non si placa. Pare che una forza oscura e misteriosa lo spinga ad andare avanti, sempre avanti, calcando col suo esercito sentieri dirupati e scoscesi, affrontando tempeste e gelo, scoprendo territori selvaggi e ostili in cui nessuno, prima, si era inoltrato. I Macedoni non si erano mai spinti tanto lontano da casa, dalle famiglie, dai loro beni, e cominciano a chiedersi che senso abbia, ammesso che ne abbia uno, quell’avanzata interminabile, estenuante e logorante ben oltre l’umana capacità di sopportazione. Il malcontento serpeggia, ma è ancora contenuto. Alessandro sa essere molto persuasivo e riesce a contagiare gli uomini con un entusiasmo che pare inesauribile. Non c’è niente che loro affrontino che lui non affronti per primo, dando l’esempio al più anziano generale, come al più giovane dei suoi paggi. Tuttavia, sono le sue nozze con Roxane, figlia di un capo tribale, a scatenare la più accesa opposizione. Agli occhi dei soldati e degli ufficiali Alessandro disdegna una sposa macedone preferendo sposare una straniera di origini barbare ed è considerata un’offesa intollerabile anche dai suoi compagni più fedeli.

Quando scopre una congiura che si prefigge di ucciderlo, Alessandro è implacabile e condanna a morte i colpevoli, fra cui c’è anche Filota, uno dei figli del generale Parmenion. Per questo, a sua volta, Parmenion viene ucciso dai sicari di Alessandro. Anche se non aveva colpa del tradimento di suo figlio non poteva essere risparmiato perché avrebbe potuto concepire un piano per vendicarsi.

L’avanzata di Alessandro prosegue attraverso fiumi e montagne fino all’India, e ormai l’esercito lo segue di malavoglia, sempre più scontento e demotivato, desideroso soltanto di tornare a casa e timoroso di non trovarla più, dopo tanti anni, la casa che aveva lasciato per seguire i disegni ambiziosi e folli del re. I vecchi sono morti, i giovani sono invecchiati, si è perso il numero dei compagni sepolti nel corso del viaggio e in battaglia, o per malattia. I più giovani non hanno mai visto la Macedonia; ne hanno solo sentito parlare dai racconti nostalgici degli anziani nelle lunghe notti davanti al fuoco. Molti giovani sono stati reclutati fra i Persiani e, come i padri, sono entrati di diritto a far parte del seguito di Alessandro. L’Europa è lontana. La spedizione ha conquistato la Fenicia, la Celesiria, la Siria mesopotamica, la Samaria, la Palestina e l’Egitto, prima di raggiungere Babilonia e inoltrarsi ancora più lontano, verso l’ignoto. Quell’ignoto che ora incute timore anche ai più ardimentosi e avventurosi. Tuttavia, a intimorire persino i più devoti e fedeli compagni di Alessandro non è tanto l’avanzata attraverso territori sconosciuti dove si parlano cinquemila idiomi diversi ed in cui le faide tribali dominano sovrane, ma bensì il “daimon” che alberga dentro di lui e che rappresenta il suo lato oscuro; quello che fa di lui un mostro sanguinario capace di trucidare, massacrare, spazzare via intere popolazioni. Regioni vaste quanto la Macedonia sono state svuotate di ogni essere vivente, eccettuato cani e corvi. Atrocità che Alessandro commette e di cui poi si pente, ma è il “daimon” ormai a comandare le sue azioni, a offuscare la sua lucidità, a fare di lui un assassino.

Esemplare è l’uccisione di Clito il Nero, avvenuta durante un banchetto, a causa di una discussione che a un certo punto ha assunto toni rabbiosi tramutandosi in alterco. Ormai le divisioni fra la vecchia e la nuova guardia del re sono insanabili e sempre più spesso le occasioni conviviali diventano scenario di scontri anche violenti. Fino a quella sera entro limiti accettabili, ma qualcosa ha spezzato il precario equilibrio e il rancore scorre a fiumi come il vino che ottenebra le menti di tutti. Clito il Nero appartiene alla vecchia guardia e ne vanta i pregi, le imprese gloriose. A suo avviso, gli ufficiali anziani sono più meritevoli di onori e riconoscimenti. Ne scaturisce una disputa. Clito è furibondo; non riesce a controllarsi e vomita veleno addosso a tutti, lanciando accuse terribili contro Alessandro, giungendo a incolparlo d’aver preso parte alla congiura per uccidere Filippo. Ce n’è più che abbastanza per scatenare il furore di Alessandro, che però non riesce a scagliarsi contro Clito perché trattenuto da Efestione. Tolomeo e Ceno gli impediscono di colpirlo con la lancia di cui si è impadronito. Clito viene trascinato via dalla stanza, ma rientra poco dopo urlando invettive e Alessandro gli si scaglia addosso impugnando la lancia e trafiggendolo con forza sovrumana, determinato a ucciderlo. La lotta è breve, violenta, traboccante di odio e risentimento. Clito muore e Alessandro lo piange, travolto dalla più nera disperazione, con un cambiamento d’umore così repentino da far pensare che sia impazzito. L’uccisione di Clito si aggiunge ad altri insensati massacri avvenuti in precedenza e alla quale ne fanno seguito ancora molti, man mano che l’armata avanza e fa terra bruciata dietro di sé.

La popolarità di Alessandro perde terreno. Sempre più spesso e da più parti si levano voci che lo supplicano di tornare a casa. Basta guerra e conquiste. Di ricchezze e onori ne hanno acquisiti abbastanza; ora vogliono rivedere le famiglie. Sono stanchi e demotivati. Sono migliaia gli uomini che appoggiano la richiesta e Alessandro si sente pervaso da una rabbia furiosa e lacerante. Ferito, deluso, amareggiato da quella che giudica un’ingiusta incomprensione delle finalità che lui si prefigge, ma determinato a estirpare il seme della rivolta che minaccia di germogliare nell’accampamento. Trecento fra gli insubordinati vengono disarmati e messi agli arresti. Ciò accende tumulti fra i veterani, ma il sopraggiungere dei carri che trasportano denaro e armi placa gli animi. Questa volta non ci sono esecuzioni, ma distribuzione di paghe e la concessione, davvero inaspettata, di poter tornare a casa. Una mossa astuta e fortunata da parte di Alessandro, che in tal modo scongiura la defezione di massa dei suoi soldati e può proseguire la campagna. L’ultima per Bucefalo, ormai ventenne ed esausto. La sua morte lascia un vuoto incolmabile nel cuore di Alessandro, che ora avverte più pesante la propria solitudine e si sente in balia del “daimon”che diventa sempre più potente e governa le sue azioni.

La leggenda narra che Alessandro, per tenere a bada il proprio lato oscuro, fece realizzare da un orafo una collana d’oro nella quale era stato intessuto un sortilegio. Un giorno la collana fatata gli fu strappata dal collo e il “daimon” si riaffacciò più forte e malvagio che mai, inducendo Alessandro a compiere azioni vergognose e crudeli, spingendolo a tramare e uccidere il padre e assassinare di propria mano la nuova sposa, il figlio appena nato perché non gli insidiasse il trono, e il padre di lei, Attalo, colpevole d’averlo insultato e definito illegittimo. Privo della collana, Alessandro non aveva forze e volontà sufficienti a dominare il “daimon”, per questo qualcuno a lui molto vicino gli consigliò di indossarla di nuovo. Allora Alessandro tornò se stesso, ma era altresì consapevole che anche col potere della collana sarebbe venuto il momento in cui il “daimon” avrebbe preso il sopravvento rendendolo schiavo a ogni suo volere. Esisteva un solo modo per liberarsi definitivamente del “daimon”: ucciderlo. Ma, per Alessandro, ucciderlo significava morire lui stesso, sacrificare la propria vita e rinunciare alla grandezza che aveva conquistato. Una scelta difficile, ma già ne aveva fatte tante nel corso della sua vita che non ebbe alcuna esitazione nel compiere anche quest’ultima, e per fare in modo che il “daimon” non potesse fuggire da lui e trovarsi un altro ospite, giocò d’astuzia e si fece imbalsamare, imprigionandolo per sempre nel proprio corpo.

Questo fatto è legato all’aspetto più leggendario di Alessandro, ma la sua morte prematura suscita ancora domande che non hanno trovato risposta. Forse la spiegazione è molto più banale di quanto la nostra fervida immaginazione faccia supporre e Alessandro, provato dalle fatiche delle campagne militari, consumato dalle continue tensioni, dalle situazioni climatiche estreme che aveva affrontato, si ammalò in modo grave. Occorre ricordare che la medicina del tempo era piuttosto primitiva e che si rischiava di morire anche per malanni di lieve entità, perciò se Alessandro aveva contratto qualche virus potrebbe essere stata questa la causa della morte. C’è anche l’ipotesi dell’avvelenamento che annovera parecchi sostenitori, tuttavia il veleno è un’arma in uso più presso le donne che gli uomini e ciò apre una ipotesi interessante su Roxane, la moglie, la quale potrebbe aver nutrito una rancorosa gelosia nei confronti di Efestione e del giovane persiano che aveva conquistato il favore di Alessandro e ne era diventato l’amante. Roxane si sentiva, e forse lo era davvero, trascurata dal consorte, e la mancanza di un erede rendeva precaria la sua posizione. Alessandro l’avrebbe potuta ripudiare e sposare, finalmente, una macedone come caldeggiavano i suoi fedelissimi e sua madre, che nonostante la lontananza non aveva mai interrotto la corrispondenza, né di intromettersi nella sua vita.

Il mistero che circonda la morte di Alessandro rimane e questo fa sì che si continui a fantasticare, a disegnare scenari sempre più intriganti, suggestivi e leggendari. Di fatto, dopo la sua morte, l’immenso impero da lui creato si frammentò, dividendosi fra i suoi generali, il più celebre dei quali, Tolomeo, fondò la dinastia Tolemaica da cui discendeva Cleopatra e fu il più duraturo. Tuttavia, nonostante la fugacità del suo regno, ad Alessandro si deve l’impronta ellenistica lasciata ovunque, l’amore per l’arte, la bellezza, la poesia epica, la cultura e tutto ciò che rende grande un sovrano e, di riflesso, il popolo da lui governato.

Alessandro ci ha lasciato un’eredità importante che abbiamo il dovere di custodire e difendere. La sua impronta è indelebile e si può veramente affermare che il mondo, dopo di lui, non è più stato lo stesso.

 

 

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