Un bacio sotto il vischio…

Vischio

Non vedevo Luca dai tempi del liceo, quando ero una ragazzina piuttosto insignificante, con l’apparecchio ai denti e piatta come una tavola. Lui, invece, era già un gran fico e stuoli di ragazze gli morivano dietro.

Inclusa la sottoscritta, che per le ragioni di cui sopra passava inosservata. Col tempo il mio aspetto era decisamente migliorato, ma Luca era scomparso dal mio orizzonte e non avevo più pensato a lui fino a quel giorno.

Si avvicinava il Natale e mia sorella Lidia decise di organizzare il tradizionale cenone della Vigilia nella sua casa di campagna. Ovviamente mi chiese di aiutarla. Lidia non è mai stata il tipo di sorella che si preoccupa di chiedere se hai già qualche altro impegno. Nel momento in cui decide di fare qualcosa e ritiene d’avere bisogno di te, dà per scontato che tu sia a sua disposizione. Perciò, malgrado i miei tentativi di farle capire che avevo altri programmi, non mi lasciò alternative. Con un sospiro esasperato infilai un po’ di cose in una borsa, salii in macchina e andai.

Conoscevo la strada. Non era certo la prima volta che mi recavo nell’eremo di mia sorella, ma nevicava e io ero irritata perché le avevo permesso di nuovo di intromettersi nelle mie faccende personali, così rimuginando fra me dimenticai di svoltare al bivio e proseguii. Mi accorsi d’aver sbagliato solo dopo svariati chilometri e capitai in un paesino. Per fortuna c’era un piccolo bar sulla piazzetta e domandai indicazioni. Di sprovveduti come me dovevano passarne parecchi e non ebbi difficoltà a ottenerle. Anzi, me ne fornirono tante e così diverse fra loro che mi confusero le idee. Una cosa però mi fu chiara: dovevo fare il giro del paese e tornare indietro.

Ripresi il mio viaggio, più avventuroso del previsto, e man mano che mi avvicinavo all’agognata meta in mezzo alla neve che ormai cadeva fitta il mio stato d’irritazione cresceva. Stava facendo buio quando abbordai la salita che conduceva alla casa, un vecchio casale ristrutturato, e nonostante le gomme da neve incontrai qualche difficoltà ad arrancare fino in cima al cocuzzolo dove una profusione di luminarie natalizie mi diedero l’impressione di trovarmi in un Luna Park.

Posteggiai la macchina sullo spiazzo e mi avviai all’ingresso. Venne ad aprirmi Lidia, che subito mi rimproverò per il ritardo e l’ansia che le avevo procurato. Non mi lasciò il tempo di spiegare e mi trascinò dentro. Mio cognato Alberto mi riservò un’accoglienza più calorosa e i bambini, ne contai alcuni più del numero di nipoti a cui ero abituata, mi circondarono strillando. Il mio sguardo disperato impietosì Alberto.

– Fate i bravi e andate di là a giocare – ordinò guadagnandosi la mia gratitudine. I marmocchi obbedirono e mi rilassai un poco. – I nostri amici sono arrivati ieri – si sentì in dovere di spiegarmi. – Lidia ha tanto insistito perché venissero a passare il Natale qui coi figli.

– Lo immagino – sospirai rassegnata.

– Ma cosa fai lì impalata? – chiese Lidia. – Porta di sopra la borsa e torna subito. Devi conoscere i nostri amici e aiutarmi a cucinare. Ah, sai chi ho invitato al cenone? – Non lo chiesi e aspettai con un leggero brivido che mi svelasse l’arcano, ma lei fece una pausa a effetto e sorrise con aria sorniona.

– Luca Rinaldi!

Sgranai gli occhi. – Luca chi? – chiesi, fingendo di non aver capito.

– Luca Rinaldi, il tuo vecchio compagno di liceo. Non dirmi che te lo sei dimenticato.

– Lo ricordo benissimo – replicai. – Ma cosa ci viene a fare qui? Credevo sarebbe stata una festa in famiglia.

– Ma certo che è una festa in famiglia, solo un po’ allargata. Sarà carino.

L’idea di “carino” di mia sorella non coincideva con la mia, ma ormai non c’era rimedio. Rivedere Luca era davvero l’ultima cosa che desideravo e mi venne il sospetto che Lidia l’avesse fatto apposta a invitarlo. Forse stava tramando qualcosa e io, qualunque cosa fosse, mi feci un puntiglio di mandarla a monte.

Più tardi, mentre eravamo ai fornelli, mi disse d’aver incontrato Luca al supermercato, tutto solo a fare la spesa, e dato che le aveva chiesto mie notizie le era parso gentile estendere l’invito anche a lui.

– Non è sposato – aggiunse con un sorriso denso di sottintesi. – E dovevi vedere come gli brillavano gli occhi parlando di te.

– Ma se neanche mi vedeva quando andavamo al liceo!

– Mi ha confidato d’aver sempre provato… simpatia per te.

– Certo – borbottai tagliuzzando rabbiosamente le patate. Avrei strozzato Lidia volentieri per quanto era bugiarda. Quell’assurdo incontro mi avrebbe rovinato il Natale.

Dopo una serie interminabile di partite a Monopoli con la banda assatanata di bambini e gli amici di Lidia e Alberto, arrivò il momento cruciale: la sera della Vigilia.

Avevamo cucinato gran parte della giornata ed ero quasi esausta, ma l’effetto della lunga tavola apparecchiata, dell’albero decorato e del caminetto acceso era piacevole. Lidia aveva disseminato rametti di vischio dappertutto e gongolava compiaciuta. I bambini strepitavano, impazienti di aprire i regali accatastati sotto l’albero, e noi adulti aspettavamo l’arrivo dell’ultimo ospite sorseggiando vino e assaporando l’atmosfera natalizia con un senso di intima gioia che, nel mio caso, si mescolava all’ansia. Indossavo un abito rosso e piuttosto aderente. Coi capelli raccolti e un filo di perle mi sentivo bella. Mi chiesi di sfuggita se Luca era cambiato. Probabilmente lo era, ma fino a che punto? Magari era stempiato, pensai con una sfumatura di divertimento.

Poi arrivò, accompagnato da una raggiante Lidia, e il mio cuore cominciò a dare allarmanti segnali. Avevo le palpitazioni come un’adolescente. Lui era ancora più affascinante e no, non era stempiato. Mi mancò il respiro quando incontrai i suoi occhi verdi, esattamente come mi accadeva al liceo, e la mano che strinse la sua era gelata come un ghiacciolo. La trattenne qualche istante e sorrise. Sorrisi di rimando e il suo sguardo si posò sui miei denti perfetti e bianchissimi.

– Sei bellissima, Selene – disse.

– Grazie. Anche tu non sei tanto male – risposi.

Lidia lo presentò agli altri, gli porse un bicchiere di vino e lo riportò da me.

– Avrete tante cose da dirvi, dopo tutti questi anni – dichiarò lasciandoci.

Le avevamo? Probabilmente sì, ma non ce le saremmo raccontate quella sera. Stavamo comunicando senza parlare, assaporando le sensazioni che il ritrovarci a distanza di molto tempo ci procurava. I nostri sguardi, i sorrisi che ci scambiavamo, le mani che si sfioravano mentre prendevamo dai vassoi le tartine, dicevano ciò che le nostre labbra tacevano. Eravamo come isolati in un mondo tutto nostro e quasi stentavo a credere che ciò accadesse veramente.

Lidia era assorbita dai compiti di padrona di casa, ma captavo le sue occhiate di sfuggita, la sua aria di approvazione. Stranamente non mi diede fastidio, anzi provai un inatteso sentimento di gratitudine nei suoi confronti.

– Sono contenta che tu sia qui – sospirai.

– Lo sono anch’io. Sai, ero tentato di non accettare l’invito, ma tua sorella sa essere molto persuasiva.

Scoppiai a ridere. – Non lo dire a me!

– Mi piace il suono della tua risata. È musicale, armonioso…

Incontrai di nuovo i suoi occhi e mi sentii persa.

Lidia si affacciò sotto l’arcata che introduceva alla sala da pranzo e attirò la nostra attenzione battendo le mani.

– A tavola, ragazzi!

Fummo preceduti dai bambini e dagli altri, a cui ci accodammo. Appeso all’arcata un grande ramo di vischio e mentre ci passavamo sotto Luca gli gettò un’occhiata e fece qualcosa di assolutamente inaspettato: mi diede un bacio.

– Per buon augurio – sussurrò. – Buon Natale, Selene.

Le mie guance dovevano avere lo stesso colore del mio vestito e tutti ci stavano guardando. Non li volli deludere e sorrisi.

– Buon Natale anche a te, Luca.

Lo presi sottobraccio e insieme entrammo in sala da pranzo.

Adesso ero certa che sarebbe stato un bellissimo Natale. Forse il primo di una lunga serie.

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